In gergo teatrale la quarta parete è quel diaframma immaginario che si crea, una volta aperto il sipario, tra pubblico e attori: una membrana protettiva che nasce sul confine tra la luce del palco e il buio della sala. Protegge, isola, di base crea una parete che sempre più spesso viene infranta nel teatro moderno.
In una società dove tutti possono dire tutto e interagire con tutto attraverso i social, la tendenza a rompere la quarta parete assume un valore innovativo trasformando lo show in una vera e propria esperienza immersiva di dialogo dove lo spettatore è parte integrante dello show.
Il teatro di ricerca e avanguardia, nella loro ricerca di stravolgere le regole, lo facevano già negli anni ’70 del secolo scorso, ma il teatro commerciale e d’intrattenimento, senza intenti eversivi ma comunicativi, volontariamente o involontariamente forse ci sta riuscendo meglio. Gli inglesi, in particolare nel West End, sono sicuramente all’avanguardia in questo dove la classica e rigida cultura teatrale si è evoluta in un linguaggio moderno forse in grado di ripristinare quel dialogo con lo spettatore, ovvero la Società.
Il linguaggio teatrale, obsoleto perché raramente si è saputo evolvere al pari passo del linguaggio della Società, nel teatro d’intrattenimento ha dato dei segnali di cambiamento attraverso gli allestimenti del secolo scorso di musical come Cats, con la platea inglobata in una scenografia strabordante che invadeva la sala e la sala che irrompeva in scena; o come in Starlight Experss, storie di treni, dove gli artisti sfrecciavano sui pattini a rotelle in piste scenografiche che avvolgevano gli spettatori.
Da quei timidi approcci dove la scenografia infrangeva la quarta parete, siamo giunti ad oggi con allestimenti tipo quello di Newsies con la scena che s’insinua in platea e gli artisti che performano rivolgendosi direttamente al pubblico. O come Cabaret al Kit Kat Club, un gioiello di spettacolo che accoglie gli spettatori con un pre show negli scantinati del teatro, sui banconi dei bar per poi convogliarli ai tavolini per una cena esclusiva.
Nulla di nuovo ma il teatro intero diventa scenografia e gli spettatori stessi diventano protagonisti di quel cabaret berlinese di anni che furono. Lo spazio scenico, privato di sipario e quinte (le entrate degli attori in scena), è spostato quasi al centro della sala mentre sul palco trova posto una seconda platea speculare a quella classica, infrangendo addirittura due pareti.
Poi ci sono spettacoli come “Sleep no More” made in England ed esportato con successo a New York Off Broadway, dove gli spettatori sono liberi di girare per uno spazio scenografico dal realismo cinematografico, interagendo con attori e scenografie. Cinque piani di allestimento per tre ore di spettacolo dove lo spettatore è libero di fare (quasi) tutto divenendo non solo protagonista ma in un certo senso anche autore della propria serata.
In Germania a Colonia, l’allestimento scenografico del musical Moulin Rouge trasforma, per la gioia degli occhi dello spettatore, non solo la platea intera, ma anche il foyer.
Certo non sono solo tutte belle idee, l’evoluzione del linguaggio teatrale, ecc., ecc. Ci sono anche investimenti economici.
È su questo punto che gli addetti a lavori in madre patria subito controbattono con “si, ma lì hanno i soldi”.
Mi permetto di rispondere: si, vero. Perchè loro hanno gli spettatori!
Noi, a parte qualche rara e pregiata eccezione, nel teatro d’intrattenimento e nell’inutilmente autoproclamata patria del musical milanese, NO!
E non possiamo dare la colpa solo agli spettatori e alla Società di oggi. Perché allora? Cosa si prospetta all’orizzonte per il teatro d’intrattenimento italiano? Questa quarta parete all’italiana, abbattuta più che infranta, confine tra luce e ombra, potrebbe essere la partenza per nuove riflessioni.